mercoledì 22 febbraio 2012

Il caso aziendale:il limone di Ficarazzi

Il caso aziendale : Il limone di Ficarazzi

pubblicato da Luigi Rizzo il giorno sabato 26 febbraio 2011 alle ore 21.36 ·
Primo capitolo
Presentazione del caso aziendale nel contesto economico di  Ficarazzi

La globalizzazione ha portato, in quasi tutti i ficarazzesi, la convinzione che il limone è morto. Da economista ed
aziendalista voglio affrontare il tema che è stato analizzato dal Dottore Vincenzo Lo Meo nel libro "Il limone perduto".
Lo storico Antonino Morreale, nella presentazione del libro afferma che lo storico, si sa, fa solo autopsie. 
Quando il morto è morto ci spiega come, e magari come è nato e cresciuto. E così, ora che l'agrumicoltura a Bagheria e dintorni è finita, è giusto farne un bilancio, raccontarne la storia, ripercorrerne gli alti e bassi.
Anche l'economista e l'aziendalista effettua dell'analisi su singoli prodotti. Per l'aziendalista ogni prodotto ha una sua breve storia, nasce, cresce ed infine muore. Politica di marketing, nulla di eccezionale. Lo studio che mi accingo ad effettuare non riguarda un prodotto: il limone, ma una coltura ed una cultura millenaria.
Perchè una coltura ed una cultura millenaria? Nel 1977 frequentavo la Facoltà di Economia e Commercio di Palermo, mentre mi accingevo a raggiungere la stazione ferroviaria, lungo il viale delle scienze incontro un bagherese che frequentava la Facoltà di Lettere e mi chiede dove ero diretto, io risposi vado a Bagheria e Lui mi dice se vuoi ho un passaggio in macchina con un altro bagherese che lavora in segreteria.
Saliti in macchina, il segretario fa questa domanda: sapete il significato di Furra e vattali, ed io risposi che oltre a conoscerli ,li avevo pure zappati. Il segretario ribatte il vero compagno è quello che conosce la storia, le tradizioni e i termini che utilizzano i contadini bagheresi.
Fino al 2002 ero convinto che i termini furra, vattali, saia, gebbia, gibbiuni, turcinatu etc. fossero dei termini dialettali, quando ho partecipato alla presentazione di un libro: Gli arabi in Sicilia, modello irriguo della conca d'oro, mi sono reso conto che i termini che io avevo imparato da mio padre sono dei termini arabi.
 Sono nato nel 1956 in una casa piccola di 50 mq formata da due stanze: una camera da letto ed una cucina soggiorno,il bagno era posizionato nel sottoscala,  eravamo in sei a dormire nell'unica stanza da letto e fin dall'età di tre, quattro anni mi svegliavo alle 4 di mattina e facevo colazione con mio padre, un bel tazzone di latte col pane ed ogni mattina alle 4,30 io piangevo tutte le volte che mio padre con la sua bici 24 col portabagagli si recava in campagna lasciandomi a casa, raggiunta l'età di sei anni dopo le mie ripetute insistenze una mattina alle 4,30 mio padre mi carica sulla barra di ferro della bici che collega il sedile col manubio, arrivati in campagna mio padre iniziava ad arrimunnari ed a sbraccamari  lasciandomi il compito di ammanucchiare la ramaglia a fine giornata non ho lasciato un pezzetto di ramaglia non ammanucchiata, tornato a casa mio padre riferiva a mia madre del bel lavoro che avevo fatto quel giorno. L'indomani mattina stanco morto del lavoro fatto il giorno prima non mi svegliai come al solito, ma mio padre mi chiama dicendomi: alzati che è tardi il sole è già in mezzo alla strada sbrighiamoci perchè poi fa caldo e poi a jiurnata si fa di mattina presto, mi alzo, mangio il solito tazzone di latte col pane, esco e vedo un buio fitto,   salgo sempre nella solita barra di ferro e ci rechiamo sempre in contrada Lorenzo, solito lavoro mio padre arrimunna e sbraccama , io raccoglievo i limoni della ramaglia ed ammanucchiavo e mio padre vedendo che gli pestavo i piedi mi affida un altro compito quello di bruciare la ramaglia, ed a fine giornata non rimane un pezzettino di ramaglia, a fine settimana mio padre compra un'altra forbice per la rimonda una due buoi ben affilata e me la affida insegnandomi a togliere i cavigghiuna e le sancisuca salendo sopra la scala di legno a sei gradini, le giornate delle settimane successive erano articolate : la mattina presto ammanucchiavo e bruciavo la ramaglia ed arrivati alle 9,30 si faceva uno spuntino con pane  e mortadella oppure con pane e fillata, finito lo spuntino riprendevo la rimonda togliendo cavigghiuna e sancisuche. Terminata la rimonda , bisognava ngrizzare per abbivirari, mio padre si portava la furra mastra ossia quella dove scorreva l'acqua io mi portavo la furra secondaria, al ritorno  si zappavano i vattali e si arrascava il suolo partendo sempre dal basso fino ad arrivare nella furra mastra, finita di zappare la ringata si riprendeva al solito le due furre, i vattali e il suolo. I tempi di uno zappatore, in una giornata zappava due munneddi, ossia mezzo tumolo, perchè quattro munneddi formano un tumolo. Il limoneto di contrada Lorenzo che era di due tumoli e mezzo, io e mio padre lo zappavamo in tre giorni, il terzo giorno era il più leggero perchè finivamo intorno alle 9,30, ma poi la giornata continuava in contrada Gattarello un limoneto- uliveto di due tumoli, si iniziava da stancampiano, anche se il terreno è sempre in contrada Gattarello, ma poichè era una striscia di terreno pianeggiante che confinava con la contrada stancampiano, quella striscia veniva detta Stancampiano. Mi ricordo che si arrivava ogni anno a Stancampiano intorno alle ore 10 e si iniziava con la rimonda  erano alberelli piccoli piantumati sulla roccia dopo aver fatto un buco avendo sparato le mine ed avendo riempito di terra prelevata dal viottolo di stancampiano o trasportata con il carretto dagli scavi di sbancamento che venivano fatti nel paese per costruire le case . I tempi della rimonda: per eseguire la rimonda in un limoneto occorrevano 4 giorni a tumolo, pertanto la rimonda in contrada Gattarello a me ed a mio padre portava 4 giorni, da considerare anche che per la rimonda era bandito il seghetto perchè il taglio della lama surriscaldata dal taglio bruciava la linfa con gravi danni per rimarginare la ferita e pertanto il vero arrumunnaturi era quello che sapeva usare la runca  e tutti i tagli grossi venivano effettuati con la runca per i motivi sopracitati. Il limoneto di contrada gattarello è posizionato nelle "zerfine" (terrazzamenti) e per i lavori bisognava prestare maggiore attenzione per evitare di cadere da una Zarfina all'altra, soprattutto    per le persone anziane. Terminata la rimonda e la rascata di prima della ruspigghiata in contrada gattarello rimaneva l'ultimo agrumeto in contrada Serradifalco che contrariamente alle dicerie che attribuivano margignu d'inverno  e cripazzi d'estate, avendo costruito i malbacani ed un piccolo pozzo di scolo tre munneddi di limoneto risultava altamente produttivo, basti pensare che in tre munneddi nel mese di maggio abbiamo raccolto 120 casse di limoni bianchetti per un totale di 3000 kg ed un ricioppo di verdelli di 70 casse nel mese di Agosto dopo le due vicinni, ossia altri 1750 kg ad un prezzo che l'incasso di Agosto ha superato di gran lunga la raccolta grossa di maggio.
Dopo la rimonda e la ngrizzata, un giorno prima della ruspigghiata, si buttava il concime complesso tipo 20 10 10 oppure  12 12 12      nell' ordine di 100 kg a tumolo.  
Dall'età di sei anni fino all'età di 36 anni ho lavorato fianco a fianco con mio padre fino al 18 settembre del 1992, quando stavamo dando la 4° vicienna dopo la ruspiggiata in contrada Cannita Fiume terreno di proprietà di mia madre ereditato dal padre, in quella occasione mio padre si è sentito male gli si è oscurata la vista e poi si è ripreso questo mi riferiva al termine della abbivirata, l'ho accompagno dal medico di famiglia per un controllo, non viene riscontrato nulla l'ho porto a casa, mia madre prepara un piatto di pasta e mentre si accingeva a mangiare una trombosi lo paralizza in meta corpo, come al solito i medici del pronto soccorso non capiscono nulla e me lo fanno portare a casa, telefono al medico di famiglia per una visita domiciliare e come al solito dopo continue chiamate, il pomeriggio, la sera decido di portarlo al pronto soccorso del civico, dal pronto soccorso lo mandano in cardiologia e dopo una visita lo mandano a casa, ritelefono al medico di famiglia sia la sera che la mattina del 19 settembre, la moglie del medico mi riferisce che il marito è fuori per visite  vado a casa e alle 13,30 nell'ora di pranzo una trombosi lo spegne.
Il testamento di mio padre
Il 17 dicembre del 1991,  alle due di notte ricevo una telefonata, è mia madre che mi comunica che mio padre sta male ha difficoltà respiratorie, soprattutto quando si alza dal letto, mi precipito lo faccio salire in macchina e lo accompagno al pronto soccorso, facendolo distendere sul sedile, arrivati al pronto soccorso, viene diagnosticato un edema polmonare, viene applicata una flebo con diuretici e trasportato al civico  di Palermo, lo ricoverano per una settimana ,  dimesso dall'ospedale gli prescrivono una serie di farmaci in particolare diuretici per evitare la formazione di liquido nei polmoni, il giorno delle dimissioni mio padre chiede cosa poteva fare dopo, il medico riferisce : se Lei deve salire le scale anzichè salire tutto di un fiato, fa tre gradini e si ferma. La domanda fatta da mio padre era rivolta al pensiero di ritornare a lavorare in campagna. La prima domenica utile dopo il ricovero ospedaliero ci rechiamo ad Altavilla Milicia un uliveto di 16 alberi che aveva potato sempre mio padre da solo perchè in quei 30  anni di condivisione dei lavori agricoli, nel periodo invernale io ero impegnato a scuola, prima come studente dopo in qualità di insegnante, mio padre mi promuove capo-mastro affidandomi il compito di potare l'uliveto, prendo la motosega e con la tecnica imparata in 30 anni di esperienza in quattro ore poto i 16 alberi di ulivo buttando a terra circa  kg 2000 di legna, mio padre con la scala aveva pulito due alberi in 4 ore togliendo i cavigghiuna e separando tutti i rametti gli uni dagli altri, mi chiama e mi fa raccogliere la legna che Lui aveva tagliato e mi chiede quanto possa pesare quella legna ed io riferisco tre o quattro Kg, mio padre a quel punto mi dice : visto che tu hai poco tempo da dedicare alla campagna, la potatura è quella che tu hai fatto, quello che ho fatto io è una perdita di tempo ed infine dispiaciuto mi dice " ho lavorato tanto ma non ho avuto la stessa fortuna che hanno avuto i miei capi-mastri  che hanno insegnato l'arte della potatura a tante persone", ed io ribatto e tu pensi che io sono nessuno  e mio padre mi dice:" tu sei prufissuri ri scuola non prufissuri ri campagna".
Queste parole dette da mio padre nove mesi prima dal suo decesso, mi hanno lasciato un pensiero fisso che è quello di onorare il suo testamento orale : di insegnare al maggior numero di persone l'arte della potatura, in che modo, visto che la mia attività principale è l'insegnamento di Economia Aziendale in un istituto tecnico commerciale, creando un video dove viene spiegato passo dopo passo l'arte della potatura. Il potatore può essere paragonato ad un botanico che legge le esigenze delle piante e sa come intervenire per farle rinascere. E la rinascita del limone io la vedo nella formazione dei giovani e il video prodotto può essere il primo passo per insegnare ai giovani che adesso sono legati alle nuove tecnologie. Un prodotto audio-visivo che possono vedere ed ascoltare quando vogliono possono sostituire benissimo i miei 30 anni di lavoro fatti  fianco a fianco con mio padre.    
 Progetto di cultura d'impresa
Il progetto, agganciandosi allo studio di materie d’indirizzo, vuole promuovere la cultura d’impresa rilevando che l’impresa florovivaistica sul territorio palermitano è poco fiorente rispetto alle altre province siciliane.
Domenica 5 Dicembre 2010, in occasione della giornata dedicata al “Festival dei Sapori “, con la collaborazione del Comune, che ha predisposto uno spazio per lo stand in Piazza Matrice, i docenti e gli studenti dell’ITC  del corso C  hanno potuto esporre alla cittadinanza e ai turisti i contenuti del progetto.
Su un banchetto i ragazzi riempivano due vasetti per volta di terra fresca in cui vanno piantati i semi di arance amare che sono un po’ il simbolo della nostra terra. Questo agrume, portato in Sicilia dagli Arabi nel Medioevo, ebbe una ampia diffusione grazie al clima ed alla terra fertile della nostra isola. Successivamente, l’innesto delle piante di limone, di arance dolci e sanguinelle, e di mandarini ha determinato  la diffusione della produzione di agrumi come tutti sappiamo. Purtroppo la speculazione edilizia ha poi sottratto spazio alla terra per lo scempio di una urbanizzazione violenta e senza regole.
La presentazione del progetto può essere vista collegandosi a : teleone.it archivio trasmissione del 07/12/2010 al minuto 13.
Secondo capitolo
U Zappuni avi i corna ( evoluzione del modello irriguo arabo)
All'età di sei anni mio padre mi portava, tutti giovedì e le domeniche a fare il "Conso di Marzo", perchè il giovedì e la domenica e non gli altri giorni, erano i due giorni liberi che avevo perchè nella scuola che frequentavo il giovedì era giorno libero mentre negli altri giorni si usciva alle 15,00 tranne il sabato alle ore 12,30.
Mio padre esaltava le qualità lavorative di mio nonno raccontandomi la storia di mio nonno. Mio nonno era figlio di un bracciante che aveva avuto l'assegnazione in enfiteusi di un terreno in contrada Accia appartenente al Monastero di Santa Cita, in seguito alla legge Corleo.  In quel terreno hanno impiantato un vigneto con arnese detto "virrina" , ossia un palo di ferro del peso di 15 kg sostenuto da un manico di legno a due impugnature, mio nonno era esperto in tutte le operazioni relative al vigneto: potatura, innesti, potatura verde, liari impupari, incannari etc., ma il suo vanto era nel conso di marzo in quanto a Bagheria non vi era persona che riusciva a superarlo, tale esaltazione mi portava a fare sempre meglio il mio Conso di Marzo al punto che all'età di 9 anni si era sparsa voce in contrada Accia che mi portavo il pilare come mio padre mentre all'età di 14 anni zappavo il doppio di mio padre ed proprio in quella occasione che mio padre mi dona la Zappa di mio nonno dicendomi che solo io potevo lavorare con quella zappa e solo con quella zappa si riesce a fare il doppio lavoro quando è accompagnata da due buone braccie.

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